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“Alto Adige” - Domenica, 05 Febbraio 2006. (pagina 20 - Cronaca)  

“Gli alpini nel gelo della steppa ripercorrono la ritirata di Russia”
Il bolzanino Francesco Ramini e un gruppo dell’Ana sulle tracce dei militari della Tridentina

di Davide Pasquali

 BOLZANO. Freddo, neve, ricordi che fanno male, qualcuno invece commuove. Rivivere la guerra in nome della pace. Un gruppo di alpini dell’Ana ha voluto conoscere la Russia seguendo i passi dei militari italiani nella terribile ritirata del 1943.
 Un gennaio freddo quello del 2006. Freddo in Alto Adige, freddissimo in Russia. La conferma arriva dal bolzanino Francesco Ramini che, dal 13 al 23 gennaio, in Russia è stato di persona, in vacanza.
 Una vacanza sui generis, a dire il vero: insieme a 13 amici, 9 a piedi e 4 con gli sci da fondo, ha interamente ripercorso il tragitto compiuto nel 1943 dalla Tridentina: la famigerata ritirata di Russia. Lo scopo? «Ricordare e onorare chi morì o fu ferito, chi intraprese la ritirata e chi venne fatto prigioniero, per riaffermare il valore della pace», come precisa lui stesso.
 Il freddo  Ramini, 53enne bancario, socio della sezione San Maurizio-Bolzano dell’Associazione nazionale alpini, racconta: «Un inverno eccezionalmente rigido, quest’anno. Ce lo hanno confermato anche i numerosi contadini incontrati durante il nostro pellegrinaggio della memoria. Pare fossero decenni che non nevicava così e che non faceva tanto freddo. Mentre eravamo lì, sono caduti anche 80 centimetri di neve al giorno e la temperatura è scesa fino a -41. A detta di una contadina 85enne, era stato così freddo soltanto nel 1943». Ma Ramini, del fatto non si dispiace per nulla, anzi. «Era esattamente ciò che cercavamo», precisa, «Volevamo partire l’anno scorso, ma soffiava lo scirocco e pioveva: era troppo caldo».
 Insomma, stessi giorni e stesse condizioni della Ritirata. Per ricordare, per provare, almeno in parte, sulla propria pelle.
 I partecipanti  «E così», prosegue, «all’improvviso, il 24 dicembre, abbiamo preso la decisione di partire. Fra di noi, maestri di sci e istruttori di roccia, da tutto il Nord Italia. C’era pure Aurelio De Zolt, del Soccorso alpino di Bormio, un cugino del celebre fondista Maurilio. Gli organizzatori? I veronesi Renato Buselli e Claudio Tubini, entrambi 70enni. Gli altri, quasi tutti fra i 50 e i 60. Qualcuno ha partecipato perché il padre, un cugino, uno zio o un nonno, avevano preso parte alla ritirata. Qualcun altro, come nel mio caso, semplicemente per ricordare due amici bolzanini, sopravvissuti e venuti a mancare qualche anno fa: Serafino Gaspari e Pierino Massardi».
 Il viaggio  Dopo 18 ore d’aereo - da Verona a Mosca - e 860 chilometri di viaggio notturno in treno-cuccetta, il gruppo ha raggiunto la città di Rossosch. «Una zona rurale, povera e priva di infrastrutture turistiche, per cui, ogni sera, eravamo costretti a tornare alla base con un pulmino. Partiti dal Don (ghiacciato) siamo arrivati a Nikolajevka. L’impatto, anche se eravamo preparati fisicamente e moralmente, è stato molto duro, violento. Abbiamo capito cosa possano aver provato i nostri soldati, a camminare giorni e notti, nella neve alta fino al ginocchio, a 40 gradi sotto zero, senza cibo e adeguato equipaggiamento, con il nemico sempre pronto a sparare e a sbarrare la strada verso casa. Anzi, più che capito, lo abbiamo intuito. Forse. E con i dovuti distinguo. Noi eravamo ben equipaggiati, ben nutriti, nessuno ci sparava addosso e dormivamo al caldo».
 La commozione    Il gruppo ha visitato e reso omaggio a innumerevoli luoghi della memoria, deponendo corone, cantando, pregando e suonando il “Silenzio” con la tromba (le volte che era possibile, perché è capitato che il freddo la facesse inceppare).
 «Il fatto più commovente - racconta - è stato incontrare i contadini dei villaggi, costituiti al massimo di cinque o sei povere isbe: case in legno, colorate e coi tetti in paglia o Eternit. Nonostante il freddo, i russi uscivano fuori nei cortili, fra cavalli, maiali e molte oche. Stupiti dal nostro passaggio, ma sempre ben disposti nei confronti degli italiani. Nonostante le difficoltà linguistiche, abbiamo compreso che gli alpini hanno lasciato un ottimo ricordo. Un contadino ci ha raccontato di quando gli italiani lo portarono, bambino, a cavallo. Altri ci hanno parlato dei tedeschi, che bruciavano le case, e degli italiani, sempre gentili. Insieme ad alcuni russi abbiamo festeggiato il loro anniversario della liberazione dal nazifascismo».
 Un’anziana, prosegue il racconto, «ci ha accompagnati a lungo, nella steppa, per mostrarci una fossa comune di cui nulla si sapeva, una delle tante ufficialmente ignorate per volere di Stalin: l’aveva scavata lei stessa, insieme ad altre donne e bambini. Siamo stati ricevuti da sindaci e presidente della provincia e siamo finiti pure su un quotidiano locale, stampato in cirillico. Inoltre, abbiamo visitato una scuola, realizzata quattro anni fa dagli alpini; i bambini ci hanno offerto vodka e cetrioli».
 I reperti    Novakalitva, Podgornoje, Postojalii, Novakarkovka, Novageorgevska, Garbousovo, Varvarovka, Romachovo, Nikitovka, Arnautovo, queste le località visitate. «Nomi tragici per chi conosce la storia - prosegue Ramini -. Ad Opit abbiamo recitato l’“Eterno riposo” e il “Padre nostro” sopra una fossa comune, nelle adiacenze del comando della Tridentina. Ad un certo punto si è avvicinato un contadino russo, sui 50 anni, che ha voluto consegnarci una gavetta con la scritta “Donne e motori gioie e dolori/Ercolina non ti scordar di me/Villa B./5º Erba”. Sul retro c’erano incisi uno scarpone, una piccozza e un cappello da alpino. Rientrati in Italia abbiamo rintracciato Ercolina: ultranovantenne, vive in una casa di riposo di Erba (Como). Prossimamente andremo a trovarla per consegnarle la gavetta. Ufficialmente il marito era disperso in Albania, e invece... In un’altra località ci è stata donata la piastrina di un alpino, tale Rocco Giacca, classe 1919, originario di Linguaglossa, in provincia di Catania. Siamo riusciti a rintracciare il nipote, che ci ha raccontato la storia di Rocco, riferitagli da un sopravvissuto del suo paese: il nonno non sapeva nuotare, per cui non se la sentì di attraversare un fiume, rimase indietro e non sopravvisse.
 Il rientro  L’ultimo giorno, la marcia è proseguita in autobus perché «c’era troppa neve. Abbiano addirittura aiutato diversi russi a disincagliare le loro auto». E gli inconvenienti non sono terminati qui. «Durante i controlli all’aeroporto - conclude - ad un nostro compagno è stata inspiegabilmente requisita una manciata di terra che aveva raccolto su una fossa comune. Un suo zio novantenne, reduce e vivente, gliela aveva “commissionata” per gettarla sulla propria bara alla sua morte». Ciliegina sulla torta, lo sciopero Alitalia: «Abbiamo bivaccato un giorno intero all’aeroporto di Mosca».
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