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«Tutti quei morti dimenticati»
Rigoni Stern: "quando siamo tornati nessuno ne parlava" «Adesso invece i figli tornano là. E’ una storia che non si allontana» di Francesca Gonzato BOLZANO. Mario Rigoni Stern è uno dei «pochi». Uno dei pochi
sopravvissuti alla ritirata di Russia. Il suo debito con la fortuna, o
comunque la si voglia chiamare, ne ha fatto un testimone. «Il sergente nella
neve» e gli altri scritti sulle guerre (la prima e la seconda) sono un
pilastro dell’antiretorica. Risponde dalla casa di Asiago, il ricordo è fatto
anche di numeri, perché sono importanti: «Dobbiamo ricordare gli italiani che
non sono tornati. 500 mila militari partirono per la Russia. I caduti e
dispersi sono stati 89.838. I feriti e congelati 43.282. Il totale delle
vittime è dunque di 133.120».
Ma i feriti almeno tornarono a casa. «Sì, loro sì». Un gruppo di altoatesini e veneti è appena tornato da un viaggio in Russia. Hanno rifatto a piedi e con gli sci il percorso della vostra ritirata. «Ormai in tanti stanno andando là. I figli e i nipoti percorrono la Russia, perché noi ormai non potremmo più farlo: abbiamo più di 80 anni. Allo stesso modo i pronipoti stanno riscoprendo i luoghi della Grande Guerra. E’ una storia che non si allontana». Non è quello che si augurava anche lei, con i suoi libri? «Quando siamo tornati nessuno ha scritto della quantità di morti che c’era stata. In quegli anni c’eravamo solo noi a ricordare i compagni, gente di montagna che si trovava senza cerimonie e discorsi. Al massimo invitavamo i familiari dei morti. Adesso le cose sono cambiate, ci sono anche più soldi, finalmente se n’è parlato e allora è nato questo revival di persone che vogliono vedere dove eravamo. Qualcuno torna commosso, qualcuno, mi si perdoni, non riesce a capire». Perché è stato indicibile? «Eravamo pieni di fame, di freddo e dovevamo affrontare i combattimenti. Ma lasciamo stare questi discorsi. Se i viaggi servono per riflettere, per tenere presente la guerra, per ricordare i 90 mila italiani morti, allora va bene. E pazienza se per qualcuno queste spedizioni diventano una sorta di exploit sportivo». L’ex ufficiale Rigoni Stern in un’intervista ha parlato di una parola che non è entrata nel suo vocabolario: «Il nemico è una parola che non uso. Nel “Sergente nella neve” la parola nemico non c’è. Parlo di “russi”, dico “loro”, ma “nemico” mai. Per me quelli non erano nemici: quando ero in Grecia, o sul fronte francese o in Russia non li consideravo nemici. Il nemico bisogna conoscerlo, bisogna sapere cosa ti ha fatto. Il nemico è uno che ti ha offeso o uno che ti ha fatto del male. Ma loro non mi avevano fatto niente». |
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